Con l’entrata in vigore della riforma del Titolo V, parte II della Costituzione, attraverso la legge cost. 22 novembre 1999, n. 1 prima, e 18 ottobre 2001, n. 3 poi, come è noto, fu avviato un processo volto alla riscrittura e ad una nuova realizzazione dell’organizzazione regionale. In particolare, l’art. 123 Cost. attribuisce allo Statuto non solo il compito di decidere in merito alla forma di governo, ma anche di prevedere e disciplinare delle regole sulla produzione normativa. Il processo di redazione dei nuovi Statuti, avviato in seguito alla revisione costituzionale, ha senza dubbio rappresentato un momento senza precedenti in ordine alla riorganizzazione del sistema delle fonti a livello regionale, un’occasione da non perdere in quanto «la definizione di una risistemazione delle fonti, un criterio di razionalizzazione e di controllo della produzione normativa»1 era un modello altrettanto utile e non meno urgente da affrontare rispetto a quello relativo alla stabilizzazione della forma di governo. Il processo di elaborazione dei nuovi Statuti, avviato in seguito alla riforma costituzionale, avrebbe senza dubbio potuto fornire l’occasione, per le Regioni, non solo di introdurre soluzioni innovative rivolte a rimediare «ai tanti problemi che in passato hanno ostacolato lo sviluppo delle attività regionali»2, quanto a mettere mano allo «endemico disordine e (al) la conseguente complicatezza»3 che contrassegnava il sistema delle fonti del diritto.
Il percorso di revisione statutaria prescritto dall’art.123 Cost., pur avendo potuto costituire uno snodo fondamentale per permettere a ciascuna Regione di dotarsi di fonti diverse rispetto a quelle comunemente riconosciute a livello costituzionale, non ha raggiunto, almeno dal punto di vista formale, i risultati sperati in quanto le Regioni, piuttosto che affrontare nuove strade, hanno preferito battere quelle già conosciute, rifacendosi a modelli normativi già tipizzati.